sabato 21 giugno 2008

CINA, IL LOGORIO DELLA VITA MODERNA

A cura del Colonnello Umberto Rapetto


E pensare che c’è chi si lamenta di Via Sarpi a Milano o dell’Esquilino nella Capitale. L’invasione, in realtà, è molto meno visibile degli ideogrammi che troneggiano su insegne e vetrine commerciali dei quartieri colonizzati dall’imprenditoria cinese.
A lagnarsi stavolta non sono i cittadini disperati per il degrado delle zone in cui abitano o da cui fuggono, ma i Governi di grandi Paesi preoccupati da infiltrazioni ben più spaventose di quelle sul mercato al dettaglio. Parliamo dell’allarme cyberwar, ossia di quello sbalorditivo incubo che fa traballare la sicurezza di istituzioni e aziende e mette in fremebonda agitazione chi se ne deve occupare.
Qualche mese fa erano stati gli americani a segnalare attacchi informatici ai gangli vitali del proprio tessuto connettivo telematico. Qualcuno si era subdolamente introdotto in archivi e sistemi di possibile interesse strategico, acquisendo visibilità – e forse non solo quella – su informazioni e procedure la cui riservatezza non aveva bisogno di spiegazione. Centri di calcolo, come li si chiamava ai tempi d’oro, e ciclopici database sono stati presi di mira dai battaglioni di hacker che costituiscono le moderne truppe d’assalto di Pechino. Un terribile risveglio per i templi della security e soprattutto per i grandi sacerdoti cui ne è affidato il rigoroso presidio.
Non è mancato chi ha subito fatto cenno alla solita storia dell’intero pianeta che odia gli Stati Uniti, alla ricorrente leggenda metropolitana del perenne bersaglio a stelle e strisce, al vittimismo ipocrita di Washington, alla costante ricerca di una giustificazione per mantenere un assetto bellico e non cambiare colore al semaforo del DefCon.
Pur dispiaciuto di dover deludere i fautori di certe correnti di pensiero, la cosa è invece fin troppo seria.

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cheyenne

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